Eccolo davanti a me l’ultimo lavoro di Roberto Bonaventura, un raffinato libro in carta patinata in un imprevedibile formato quadrato, come lo sono spesso i libri d’arte destinati ai tavolini dei salotti borghesi per far bella mostra di sè e della cultura dei padroni di casa. “Come mai non ha una dimensione standard?” gli avevo chiesto fra il provocatorio e il contrariato. “Perchè? – mi ha risposto faceto – io ti sembro uno standard?” La mia risposta era venuta da sè: “Tu no, ma le librerie di casa mia sì”.
Con Roberto Bonaventura si può scherzare, l’ironia è una delle sue caratteristiche, come lo è di tutte le persone dotate di grande intelligenza ed egli stesso considera che il sesto senso è quello dell’umorismo… se manca, mancherà qualcosa agli altri cinque. (172)
Ma come si illustra agli altri un libro che ha per titolo “L’ermeneutica dei sospiri” scritto da un autore che da solo si definisce, giustamente, “non standard”?
Bisogna forse cominciare dall’indagare su quel niente che fa sapere di sè e sul molto che si intuisce dalle sue produzioni. In lui coesistono tutti i talenti espressivi del bello: musicista e scrittore, maestro d’arte e fotografo di suggestioni, è insieme autore e compositore, inoltre è produttore di se stesso e altrui…
Ma soprattutto è un napoletano “sostanziale”, secondo una sua definizione originale, ovvero figlio e cultore di una città, Napoli, che “è uno stato metafisico, uno stato dell’essere da cui prende forma il concetto di “napoletanitá”, com’egli stesso scrive sulla pagina faceboook che ha appositamente creato.
E proprio la sovrabbondanza di suoni e colori, atmosfere e paesaggi che lo ha indotto a cominciare dai pennelli e dalle matite per farlo poi approdare alla penna (plettro) e agli spartiti.
La sua musica è classicamente melodica, struggente e avvolgente, capace in un attimo di risvegliare quei sentimenti e quelle nostalgie più intime che pudicamente ognuno trattiene in sè.
E fra le altre sue composizioni va ricordata la bellissima “Neapolis”, con testo autobiografico, scritta per Luciano Pavarotti (qui, apribile solo dai pc) ).
Di sè svela: “Sento la musica come mezzo alato di comunicazione ‘spirituale’ per valicare ogni distanza e ogni barriera. Mi diletto a raccontare le cose della Terra senza perdere mai di vista la dimensione verticale; unica prospettiva in cui l’arte, che spero di cimentare con qualche frutto, sia traccia di quell’afflato divino a cui tutto tende. A cui io anelo.”
Da questa ricchezza di inclinazioni per le diverse espressioni dell’Arte, tutte filtrate da un profondissimo senso religioso vissuto e testimoniato nel quotidiano, nasce anche la sua produzione letteraria.
La sua prima opera, “La soglia dell’Aldilà”, che ho recensito in un precedente articolo, dà l’esatta misura della spiritualità del suo poliedrico autore, oltre a mostrare la sua profonda conoscenza della fede cattolica.
Ma già in quello che è un vero e proprio manuale per raggiungere la santità si intravvede la sua sensibilità intrinseca e la sua capacità di introspezione psicologica delle azioni ed emozioni che muovono l’agire umano.
Questo nuovo lavoro, “L’ermeneutica dei sospiri”, esprime e sintetizza le varie anime artistiche che abitano la personalità dell’autore. Scritti con la leggerezza delle piume, l’equilibrio dei suoni più morbidi, il colore del mare increspato e il fresco sapore dell’acqua di fonte, i suoi aforismi scivolano nella mente come richiami alla meditazione su un gesto o una parola apparentemente innocui, ma che rivisitati da altre angolatuare possono rivelare inaspettati significati ed epiloghi.
Tale e tanta è la varietà delle fulminee riflessioni racchiuse nel libro da rendere impossibile schematizzarle in categorie, perchè al centro c’è sempre l’uomo, con le sue involontarie ironie o il suo faticoso vivere, le sue ricerche di felicità e le rovinose cadute nell’ordinarietà del vivere quotidiano.
Sospesi fra la terra e il Cielo i suoi epigrammi deliziano il lettore per il garbo con cui vengono messe a nudo verità celate dietro frasi e gesti apparentemente ordinari, oppure comportamenti e sentimenti comunemente accettati come usuali.
Roberto Bonaventura gioca creativamente con le parole, le contrappone in ossimori, le decontestualizza attraverso i loro sinonimi e i contrari, le rende universali rapportandole all’infinitezza di Dio. Ma tutto è ovattato da una leggera ironia che smorza l’effetto della morale finale e della correzione fraterna.
In un mondo in cui ormai le affermazioni, i sentimenti e i comportamenti non hanno senso se non riferiti al sé, questo piccolo capolavoro della capacità di “vedere” oltre l’esteriorità dell’apparenza obbliga il lettore a brevi soste di riflessione, spesso accompagnate dal lieve e ammiccante sorriso dell’autore, che ha proposto nient’altro che una sosta al giorno di pochi attimi, giusto lo spazio di un sospiro, ma non per 365 giorni, che corrisponderebbero a quelli da cui è composto un anno, bensì con un giorno in più, giusto per non smentire il suo non essere “standard”.
Paola de Lillo
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